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“Hai portato i soldi?”.
“Sì. Cioè...non sono ancora riuscita a trovarli tutti”.
“Dà qua! Ma sono solo 50 euro! E gli altri 50?”.
“Dammi qualche giorno di tempo Roberta, ti prego!”.
Evidentemente le due ragazze credevano di essere sole nei bagni della scuola. Non avevano visto Alice. La professoressa stava per intervenire e mettersi in mezzo a quello che sembrava l'inizio di un litigio. Ma poi decise di rimanere nascosta. Voleva capire bene cosa stava succedendo.
Da una fessura della porta, l'insegnante riusciva a vederle abbastanza bene. La ragazza che piagnucolava era Lucia. Faceva parte della quinta classe a cui Alice insegnava inglese. Piccola e magra, era con le spalle al muro mentre l'altra, molto più grossa di lei, le stringeva l'esile collo con la mano sinistra e con la destra faceva l'atto di schiaffeggiarla.
“Ti prego lasciami, mi fai male!”.
“Te ne farò molto di più se non mi darai i soldi”.
“Li troverò Roberta, li troverò. Non mi picchiare per favore!”.
“Ok, hai tempo fino a domani. Adesso torna nella tua classe. Ci vediamo qui alla stessa ora”.
“Hai presente quella ragazza molto robusta, bionda, con i capelli corti? Sai chi è?”.
In sala professori, Alice stava chiacchierando con Patrizia, un'insegnante di italiano.
“Roberta? Certo. Chi non la conosce qui! Solo tu perché sei arrivata da poco. Non vediamo l'ora che finisca l'anno e che si tolga finalmente dai piedi”.
“Perché?”.
“Perché nessuno vuole averci più a che fare”.
“Parlami di lei”.
“Cosa vuoi che ti dica. E' la classica bulla e te ne sarai accorta. Basta vedere come si muove in corridoio quando non c'è lezione. Ha 19 anni. A studiare non ci pensa proprio, ma sta pur sicura che stavolta le daranno il diploma”.
“Come sarebbe a dire?”.
“Guarda, l'importante è che se ne vada di qui. Tutte le ragazze hanno paura di lei. E anche diverse insegnanti. E' cattiva ed è molto violenta. Picchia le altre per divertimento, per il puro piacere di farlo. Purtroppo è cresciuta nella famiglia sbagliata. Suo padre è in galera e ci starà ancora per qualche anno. Droga, estorsioni, risse, accoltellamenti... di tutto. Anche sua madre ha passato qualche anno in prigione, non so bene per cosa. Ma ora è a casa”.
“Ho visto Roberta mentre si faceva dare dei soldi da una delle ragazze di quinta. La minacciava. Credo che non lo faccia solo con lei. Qualcuno dovrebbe intervenire”.
“E chi? Bisognerebbe denunciarla alla polizia. Ma ho l'impressione che anche il preside preferisca lavarsene le mani. Tra qualche mese sarà tutto finito e qui nessuno penserà più a Roberta. Se ne vada al diavolo!”.
A casa, Alice stava ancora pensando alla scena a cui aveva assistito. L'idea che quella Roberta potesse fare il bello e il cattivo tempo a scuola, senza che nessuno muovesse un dito era insopportabile. Doveva fare qualcosa. Decise di confidarsi con Elena, sua sorella. Più giovane di lei di tre anni ma già vice dirigente del commissariato, Elena le avrebbe dato il consiglio giusto. La chiamò e le chiese di vederla un paio d'ore dopo. Prima aveva bisogno di rilassarsi un attimo.
Si spogliò e fece una doccia. Poi osservò il suo corpo nudo davanti allo specchio. Alice era decisamente magra. I lunghi capelli bruni, appena ondulati, incorniciavano un viso dolcissimo. Il collo lungo ed esile, le spalle abbastanza larghe ma scarne, i seni piccoli e un bel sedere, gambe e braccia sottili, rendevano l'insieme affascinante. Una bellezza che qualcuno definirebbe sofisticata, leggermente androgina, da indossatrice. Alice sapeva che la maggior parte degli uomini preferiscono donne più in carne, magari con le tette grosse, i culi in fuori, le gambe e le braccia tornite. Da ragazzina s'era fatta un problema per la sua eccessiva magrezza. Ma col tempo si era resa conto che nell'altro sesso non manca anche chi apprezza un altro genere di bellezza. Come Giorgio, con cui aveva vissuto cinque anni molto felici e intensi, anche sessualmente, prima che tutto finisse così all'improvviso, quasi senza un motivo. Quando ancora stavano insieme lui la chiamava affettuosamente “Fuscello”, a volte “Audrey”. E in effetti col suo metro e settanta e i suoi 50 chili Alice non avrebbe sfigurato in Colazione da Tiffany.
“Puoi venire in commissariato e denunciarla”. Elena osservava la sorella con aria preoccupata. Conosceva bene il carattere di Alice, sapeva che non si sarebbe arresa facilmente, che non avrebbe mollato senza fare nulla. E temeva si infilasse in una brutta storia.
“No. Credo invece che dovrei provare a parlare con quella ragazza. O magari con sua madre”.
“Uhm, a quanto capisco difficilmente otterresti qualcosa. Quella è gente pericolosa, Alice. Non farlo. Non metterti in mezzo. Non è roba per te, lascia che ci pensiamo noi”.
Stavano bevendo un caffè al bar e chiunque avrebbe capito che erano sorelle. Si assomigliavano moltissimo. Rispetto ad Alice, Elena teneva i bruni capelli molto più corti, era più alta (quasi uno e ottanta) e all'apparenza più atletica, ma anche la poliziotta aveva una corporatura decisamente snella ed era molto graziosa.
“Sai cosa faccio? Io domani vado nei bagni alla stessa ora. E quando Lucia dà i soldi a quella ragazza salto fuori. Le dico che deve smetterla, che se non lo fa parlerò col preside, con sua madre, con la polizia...”.
“Non mi sembra una grande idea. Se ho capito il tipo quella non si spaventerà di certo. E non escluderei che se la prendesse anche con te”.
“Elena io sono un'insegnante. Ho 35 anni. Non mi faccio intimidire da una ragazzina di 19”.
“Una ragazzona stando a come l’hai descritta. E tu stessa mi hai detto che anche alcune insegnanti hanno paura di lei”.
“Beh, io non ho paura. E' grossa il doppio di me, ma non oserà mettere le mani addosso a una professoressa della sua scuola. E comunque non farò come tutti gli altri, che fanno finta di non vedere quello che accade”.
“Ok, tanto lo so che se ti metti in testa una cosa non c'è verso di farti cambiare idea. Però mi raccomando, stai attenta. E se le cose dovessero prendere una brutta piega, chiamami. In cinque minuti sono lì”.
“Ora basta. Lasciala stare!”.
Alice era uscita all'improvviso dal suo bagno e le due ragazze si erano voltate a guardarla come se fosse un fantasma.
“Ho detto di lasciarla stare. Tu vai in aula, Lucia, mentre io faccio due chiacchiere con Roberta”.
Alice era sorpresa da se stessa. Aveva preso in mano la situazione con autorità, nel modo giusto. Lucia era scivolata via di corsa, mentre la bionda era rimasta lì ferma, quasi inebetita, a osservare la professoressa che si avvicinava.
“Senti Roberta, ho visto quello che fai alle ragazze ed è molto brutto. Minacciarle, picchiarle, farsi dare dei soldi. Tu sei ancora molto giovane e io non ho intenzione di denunciarti, né di parlare con tua madre. A patto però che tu la smetta immediatamente”.
La ragazza rimase per qualche istante muta. Guardava la professoressa e sembrava sinceramente colpita. Ma nel giro di qualche secondo la sua espressione si trasformò completamente. Ritrovò di colpo tutta la sua sfrontata arroganza. E la risposta che le diede fu l'ultima che Alice si sarebbe aspettata: “Tu fatti i cazzi tuoi. Io qui minaccio e picchio chi mi pare. Studentesse e... insegnanti” disse guardando la professoressa con aria di sfida.
Le parole della 19enne lasciarono di sasso Alice. Certo non si aspettava una resa incondizionata e rapida da parte di Roberta, ma nemmeno una reazione così spavalda e violenta. Ormai le due erano una di fronte all'altra e la prof osservò meglio la ragazza. Era alta qualche centimetro meno di lei ma pesava certamente molto di più. Se non avesse avuto quell'aria minacciosa, il suo viso sarebbe stato anche gradevole. Quanto alla corporatura, era tutto molto abbondante: braccia e gambe robuste, seni grossi e imponenti, fianchi larghi.
Alice stava per parlare di nuovo, ma l'altra la anticipò. “E' da un po' che ti osservo, stuzzicadenti, e non mi piaci per niente. Te lo dico una volta soltanto: stai lontana da me. Altrimenti potrei farti del male, molto male. Ci metto un attimo a spezzare in due il tuo fisichino tutt'ossa” disse osservando l'insegnante dalla testa ai piedi come se ne misurasse la fragilità.
Istintivamente la prof fece un passo indietro. Deglutì e respirò profondamente, cercando di calmarsi. Le minacce di Roberta avevano fatto sparire in un baleno tutta la sua sicurezza e il suo coraggio. Guardava la ragazza che aveva davanti, fissava come ipnotizzata quei seni giganteschi e si sentiva intimidita. Non riusciva più a parlare. Alice deglutì di nuovo e finalmente provò a dire qualcosa, ma la voce le uscì molto flebile: “Roberta per favore, stammi a sent...”. Non riuscì a finire la frase. L'altra la afferrò per le gracili spalle e la sbattè violentemente contro la parete. Alice gemette per il dolore. Poi fu presa di nuovo, scaraventata a diversi metri di distanza e finì a terra.
(continua)